NYT vs. ChatGPT: l’AI può diventare fonte di informazione alternativa a un giornale?

È impossibile prevedere quale impatto avrà l’intelligenza artificiale sull’informazione. Stiamo vivendo un nuovo capitolo della storia. Come tutti i periodi di transizione, la prima fase è sempre quella più ricca di incertezze. La realtà, analogica ed offline, è inesorabilmente travolta dalla rivoluzione digitale che ci impone forti cambiamenti. Dopo soli tredici mesi dal lancio di ChatGPT, il New York Times ha citato in giudizio OpenAI e Microsoft davanti alla Corte federale distrettuale di Manhattan, lamentando la violazione del copyright sui contenuti autoriali della testata (per uso non autorizzato di milioni di articoli del NYT) e il rischio di vedersi sottrarre traffico, pubblicità e fatturato. Con l’ordinanza 23-cv-00201-WHO, relativamente alla class action promossa da tre artisti statunitensi ovvero Sarah Andersen, Kelly McKernan e Karla Ortiz contro Stability AI, Midjourney e DeviantArt, la Corte distrettuale della California del Nord ha già messo in evidenza le grosse difficoltà probatorie nel far valere un contenuto protetto nei confronti dei sistemi di I.A. A ciò si aggiunga anche il fatto che i sistemi di intelligenza artificiale sono tutti sistemi proprietari ovvero “scatole nere” per cui è quasi impossibile ricostruirne esattamente il funzionamento e documentare i dataset di addestramento. Senza contare poi i grossi interessi in gioco. Da una parte troviamo OpenAI, ovvero, una realtà con enormi fatturati in crescita (sono lontane le origini come sistema open source) su cui anche Microsoft ha investito oltre tredici miliardi di dollari. Dall’altra parte c’è il New York Times che, con quasi duecento anni di storia giornalistica, lamenta la violazione di copyright e il rischio di perdere abbonamenti, traffico e ricavi necessari per assicurare contenuti di alto livello giornalistico. L’atto introduttivo del giudizio pendente merita un’attenta analisi per i seguenti motivi.

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