La contabilità semplificata in ambito tributario non preclude la bancarotta documentale
La Cassazione penale, con la recente sentenza n. 16005/2025, ribadisce l’insegnamento alla cui stregua l’incompletezza della contabilità così come la totale assenza di ogni libro obbligatorio negli anni antecedenti al fallimento può configurare il reato di bancarotta semplice anche a carico del gestore di imprese commerciali ammesse al regime contabile semplificato previsto dall’art 18 del d.p.r. n. 600/1973. La semplificazione autorizzata dalla disciplina tributaria, infatti, non incide sulla persistenza dell’obbligo civile di tenuta dei libri e delle scritture obbligatorie ex art. 2214 c.c., il cui inadempimento riveste potenziale significato penale anche in prospettiva concorsuale ai fini delle diverse figure di bancarotte documentali. Un orientamento condivisibile ove si colga l’irriducibile diversità degli obiettivi delle discipline dei presidi contabili. Se la normativa tributaria appare più incentrata sulle componenti di rilievo reddituale (dimensionando l’accesso alla contabilità semplificata sui diversi livelli di ricavi), di contro, per quella civile e concorsuale appare imprescindibile l’esatta conoscenza – in prospettiva storico-diacronica – anche dei valori patrimoniali e finanziari; in quest’ultimo contesto, infatti, resta centrale la salvaguardia dei beni giuridici presidiati dalle bancarotte documentali semplici o fraudolente, poste a tutela della funzione informativa dell’impianto contabile per accertare e ricostruire con esattezza il volume d’affari ma anche il patrimonio dell’imprese liquidate giudizialmente nell’interesse di tutti creditori, dunque anche di quelli non erariali.